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Quattro anni di
repressione
1995 - Nubi
all’orizzonte Dopo la tempesta dei sequestri datati 1994, il
19 febbraio ’95 il po-polo delle reti si riunisce al centro per
l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato, in un convegno dal titolo
"Diritto alla comunicazione nello scenario di fine millennio.
Iniziativa nazionale in difesa della telematica amatoriale". Il
meeting è promosso da Strano Net-work, gruppo di lavoro per la
libertà della comunicazione. A Prato si riuniscono rappresentanti
delle reti Cybernet, ChronosNet, EuroNet, E.C.N., FidoNet, Itax
Council Net, LariaNet, LinuxNet, LogosNet, OneNet Italia, P-Net,
PeaceLink, RingNet, RpgNet, SatNet, SkyNet, ToscaNet, VirNet e
ZyxelNet. Al termine dell’incontro giornalisti, artisti,
intellettuali, sysop, insegnanti, editori, sociologi approvano una
mozione nella quale i firmatari "esprimono preoccupazione segnalando
l’esistenza di un pesante clima attorno ai temi della comunicazione
elettronica, dal punto di vista legislativo, giudiziario e per
quanto riguarda la copertura giornalistica e mediatica degli
avvenimenti relativi alla telematica in generale." Gli atti del
meeting sono stati raccolti e pubblicati nel libro Nubi
all’orizzonte edito da Castelvecchi nel 1996. Alcuni
partecipanti al convegno di Prato collaboreranno in seguito alla
stesura della proposta di legge Falqui - De Notaris, depositata in
parlamento dal gruppo Verdi-federativo/Sinistra Democratica, un
primo tentativo di regolamentazione della comunicazione telematica
che purtroppo rimarrà lettera morta. L’incontro di Prato ha segnato
l’apice della telematica dei BBS in Italia, il momento più intenso e
partecipativo di aggregazione, in seguito al quale è stata
finalmente riconosciuta alla Telematica Sociale di Base una forza
politica autonoma, in grado di spingere la cultura e la società in
direzione della comunicazione libera, popolare e autogestita che è
stata sperimentata e vissuta all’interno dei BBS. I giochi
sembravano ormai fatti, ma bisognava ancora fare i conti con
l’internet. Una comunità e una cultura che aveva resistito ai
sequestri, alla criminalizzazione operata dai media e alla
repressione poliziesca non avrebbe saputo resistere all’invasione
della telematica commerciale capeggiata da Nicola Grauso,
l’imprenditore sardo che nel 1995 afferma l’internet e il servizio
commerciale Video On Line come l’unico paradigma di rete
possibile. Il 30 maggio ’95 a Milano la "crema" della società si
dà appuntamento al Teatro Franco Parenti per una "serata internet"
patrocinata dal comune di Milano. Nonostante la veste pubblica e
municipale dell’incontro, dai monitor presenti nella sala fa
capolino il logo di Video On Line, il "videoservice per la famiglia
e le imprese". Dozzine di pagine pubblicitarie appaiono sui giornali
di tutta Italia ben prima che sul sito www.vol.it appaia anche una sola pagina web. Il
debutto ufficiale nell’alta società di Video On Line era già
avvenuto il 2 febbraio, sempre a Milano, con una conferenza stampa
all’hotel Principe Di Savoia. L’Unione Sarda, il quotidiano
controllato da Grauso, sul numero del 3 febbraio pubblica un
dettagliato elenco dei partecipanti: Carlo De Benedetti, Marina
Berlusconi (figlia di Silvio), Alberto Rusconi, Carlo Caracciolo, i
vertici di Rizzoli e del Corriere della Sera, Carlo Feltrinelli,
Gianni Pilo, Giuseppe Brevi della Sprint, il sindaco di Cagliari
Mariano Delogu, alti dirigenti Fininvest, Telecom, Manzoni,
Publitalia, IBM, Hewlett-Packard, più altre figure quali Ornella
Vanoni e Ombretta Colli. Già da tempo i frequentatori dei BBS
sanno che al numero verde Video On Line risponde la Diakron di
Gianni Pilo, più precisamente la sede milanese di Viale Isonzo 25,
che per coincidenza è anche lo stesso indirizzo della sede centrale
di Forza Italia. In occasione della conferenza stampa del 2 febbraio
Pilo scopre definitivamente le sue carte presentando la Diakron come
società curatrice del mar-keting di Video On Line. Durante i mesi
successivi persino i lettori di Topolino non si salveranno dal
bombardamento pubblicitario di dischetti omaggio per il collegamento
di prova a Video On Line, diffusi a migliaia in tutta Italia. La
vita di Video On Line durerà giu-sto il tempo necessario per mettere
in piedi un servizio funzionante, accumulare qualche centinaio di
milioni di debiti e vendere il tutto a peso d’oro alla Telecom
Italia per dare il colpo di grazia ai piccoli fornitori locali di
servizi internet.
Reati d’opinione Mentre la
telematica commerciale festeggia il successo di Video On Line, la
telematica dei BBS è costretta ad assistere impotente a un altro
sequestro, a soli dieci mesi di distanza dall’operazione "Hardware
I". Il 28 febbraio ’95, alle sette del mattino, squadre dei
Carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale Anticrimine
perquisiscono a Rovereto e Trento le abitazioni di alcuni
frequentatori del Centro Sociale Autogestito "Clinamen". Il mandato
di perquisizione emesso dalla Procura della Repubblica di Rovereto
ipotizza l’"associazione con finalità di eversione dell’ordine
democratico" (art. 270 bis CP), reato pesantissimo per il quale sono
previste pene dai 7 ai 15 anni di carcere. Durante le
perquisizioni, oltre a giornali, riviste, volantini, agende, appunti
e videocassette, viene sequestrata anche una grande quan-tità di
materiale elettronico e informatico, tra cui il personal computer
dedicato all’attività di BITs Against The Empire BBS, nodo
telematico delle reti CyberNet e FidoNet, che contiene al suo
interno una vasta documentazione relativa all’uso sociale delle
nuove tecnologie, al circuito dei Centri Sociali Autogestiti
italiani e a centinaia di riviste elettroniche pubblicamente
disponibili sulle reti telematiche di tutto il mondo. Per esplicita
scelta dei suoi fondatori, il BBS non ospita nessun tipo di
software, tranne quello strettamente necessario al funzionamento
della bacheca elettronica; le attività di BITs Against The Empire
sono dedicate interamente alla messaggi-stica e alla consultazione
del suo archivio di testi. Cade quindi alla radice ogni possibile
accusa di pirateria informatica o di duplicazione abusiva di
software. In un comunicato stampa diffuso da Luc Pac, il sysop di
BITs, viene denunciata "un’attenzione morbosa della magistratura e
delle forze di polizia italiane verso luoghi come CyberNet ed ECN,
in cui si sperimentano nuove forme di socialità e nuove forme di
contaminazione delle culture e delle conoscenze alla luce dei media
digitali, dei loro rischi e delle loro possibilità". Tutti gli
indagati presentano istanza di dissequestro dei beni, e dieci giorni
dopo le perquisizioni viene restituito tutto il materiale su carta e
uno dei computer sequestrati. Rimangono sotto sequestro tutti i
dischetti e il computer che ospitava il BBS, in quanto, secondo chi
conduce le indagini, sono necessarie analisi più approfondite su
questo materiale elettronico. Il 24 marzo tutto il materiale è
finalmente restituito ai legittimi proprietari. È il primo caso
di repressione informatica attinente ai cosiddetti "reati
d’opinione". Poco importa se all’interno del Bulletin Board di Luc
Pac sono presenti riviste autoprodotte in formato elettronico e
posta elettronica privata di svariate decine di utenti: a BITs
Against The Empire non viene garantita né la libertà di stampa né la
segretezza della corrispondenza, entrambe sancite dalla
costituzione. Pur-troppo le violazioni dei diritti fondamentali
"fanno notizia" solo fuori dalla rete: le cose sarebbero state molto
diverse se fosse stato chiuso forzatamente e senza alcuna prova un
ufficio postale pubblico anziché un ufficio postale telematico
gestito privatamente a titolo volontario.
1996 - Allarme
censura Purtroppo i bavagli elettronici non sono solamente un
prodotto no-strano, e nel corso del 1996 le attività di repressione
e di censura in rete continuano in moltissimi Paesi del mondo. In
Francia, all’interno di una operazione contro la pornografia
minorile, vengono ar-restati Rafi Haladjian, direttore di FranceNet,
e Sebastien Socchard, direttore di WorldNet, due fornitori di
accessi internet, per il semplice fatto di aver veicolato dei
newsgroup, per aver fatto tran-sitare sul loro sistema dei messaggi
scritti da altri e disponibili su de-cine di altri nodi internet
sparsi in tutto il mondo. Per la prima volta si affaccia con
prepotenza il problema della responsabilità personale dei fornitori
dei servizi internet, che nella prassi vengono considerati
responsabili di tutte le informazioni che transitano sui loro
sistemi, nonostante sia impossibile controllare le migliaia di
messaggi che ogni giorno passano attraverso i nodi della rete.
Inoltre, an-che nel caso in cui fosse possibile un controllo, il
diritto alla segre-tezza della corrispondenza personale sarebbe una
barriera di fronte alla quale chiunque dovrebbe
fermarsi. L’imputazione prevede per i due imprenditori fino a 150
milioni di lire di multa e tre anni di carcere. Nessuno si rende
conto che è come indagare la Telecom Italia per il contenuto osceno
di alcune telefonate fatte da altri. Patrick Robin, fondatore
dell’associazione francese dei professionisti internet, dichiara che
"due manager sono in prigione semplicemente perché le autorità non
conoscono l’internet". Il giornalista Giuliano Gallo ricorderà
questo episodio sul Corriere della sera del 18 maggio 1997,
dimostrando di non conoscere la differenza tra la diffusione di
contenuti e il semplice transito di contenuti attraverso un computer
collegato all’internet, e di non essere a conoscenza della
differenza tra condanna e custodia cautelare. Nella sua
personalissima sintesi dei fatti, Gallo racconta che "... i titolari
di Worldnet e Francenet, due delle più importanti società francesi
di accesso a internet, vengono condannati e posti in libertà
vigilata per diffusione di materiale pornografico per pedofili". È
solo una goccia nel mare del giornalismo disinformato e
sensaziona-lista a cui ci ha ormai abituato la stampa
italiana. Sempre nel corso del ’96, il Ministero degli Interni
cinese mette a punto dei sistemi per filtrare la posta elettronica e
le informazioni che raggiungono la Cina attraverso le reti di
computer, censurando tutte le informazioni che potrebbero arrecare
danno al regime. Il 15 febbraio tutti i cittadini della Repubblica
Popolare Cinese che vogliono accedere all’internet vengono obbligati
a sottoporsi a una operazione di schedatura presso gli uffici della
polizia. A Singapore e in Indonesia i governi innalzano delle
barriere per il filtraggio e il controllo delle informazioni
"scomode" che arrivano dall’esterno tramite l’internet.
Parallelamente viene diffuso un comunicato in cui si commenta con
apprensione l’orientamento censorio nei confronti della telematica
emerso in una riunione del G7 del 30 luglio. L’allarme è lanciato
da un cartello di organizzazioni no profit che si battono per la
libertà di espressione in rete, tra cui l’italiana ALCEI
(Associazione per la Libertà nella Comunicazione Elettronica
Interattiva), Human Rights Watch, Reporters sans Frontières, la
Electronic Frontier Foundation e le affiliate EFF di Spagna,
Francia, Canada, Australia, Norvegia e Irlanda. Il comunicato
denuncia "una lunga serie di tentativi di reprimere la libertà di
parola nelle reti telematiche, dei quali ci sono esempi allarmanti
in molti paesi, fra cui Arabia Saudita, Australia, Belgio, Cina,
Francia, Germania, Singapore, Stati Uniti e Vietnam, con una varietà
di pretesti che vanno dalla ‘pornografia’ al ‘terrorismo’ e a
opinioni considerate politicamente ‘scorrette’. I testi, le
informazioni e le opinioni che si vogliono perseguitare non sono
diverse da quelle analoghe disponibili liberamente nelle biblioteche
e librerie. *Ciò che è libero e legale fuori dalla rete deve essere
libero e legale anche nella rete*. Se un testo non può essere
censurato in un giornale o nella biblioteca di una università, non
deve essere censurato nelle edicole e biblioteche del nostro futuro.
Legislatori e pubbliche amministrazioni stanno facendo ogni sorta di
pressioni per far passare velocemente leggi e norme di censura e
violazione della riservatezza personale, sfruttando la paura del
terrorismo per impedire una seria verifica e un significativo
controllo dell’opinione pubblica sulle reali conseguenze di questi
provvedimenti. Poiché l’internet è diffusa su scala globale e ogni
cultura ha le proprie regole su che cosa è permesso o proibito, la
natura aperta della rete deve essere protetta. A nessuna
giurisdizione locale può essere permesso di imporre le proprie
regole al resto del mondo".
1997 - Sesso e
contrabbando
Pedofili in rete 8 maggio 1997.
Scatta l’operazione "Gift Sex": un nuovo allarme scuote la
telematica dei BBS.
==================================================================
#
Area : MATRIX (Dipartimento di Elettronica e Informatica:
Matrix) # Da : Loris, (Gi, 08 Mag 97 15:37) # A : Vittorio
Mxxxxx # Ogg : *** ATTENZIONE !! ...
FID
==================================================================
All’attenzione
di tutti ...
questo il messaggio pervenuto questa mattina su
rete scoutnet da Gino lxxxxxx ...
_Area : SCN_COORD
(Scoutnet)____________________________
Questa mattina, i BBS
di Mxxxxxxx Fxxxxxx (1907:xxx/xxx) e Gxxxxxx Bxxx (1907:xxx/xxx)
sono stati sequestrati, cosi’ come quello di Pxxxx
Cxxxxxxxxx.
Non so di altri nodi sequestrati, ma dubito che
siano solo loro tre...
L’accusa e’ traffico di immagini di
pornografia di minori...
E’ ovvio che io non posso garantire
nulla per nessuno; pero’ Mxxxxxxx Fxxxxxx e’ un pediatra al quale
affiderei senza problemi i miei figli, se ne avessi. Questo e’
quanto ho da dire riguardo all’accusa infamante loro
rivolta...
In reazione a cio’, Axxxxxx Ixxxxx ha deciso di
chiudere. Questo significa che l’intera struttura del Net 396 e’
down.
Nei prossimi giorni, quando sara’ piu’ chiara la
situazione, proveremo a ricucire la struttura del Net.
Fra
l’altro, anche il Net 335 di FidoNet e’ stato decapitato... la
situazione e’ davvero brutta!
Ciao, Gino
+ Origin:
Gilwell BBS - L’Aquila (0862-26116) 24h/24
(1907:395/101)
Il "Net 396" altro non è che un pezzo della rete Scoutnet,
nata nel settembre ’92 su iniziativa di alcuni membri dell’Agesci,
Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani, che decidono di
offrire agli scout di tutta Italia un servizio telematico amatoriale
a supporto delle loro attività educative. Due dei tre sysop indagati
contribuivano con il loro lavoro volontario sia alla rete Scoutnet
sia alla FidoNet. Il "Net 335", invece, è l’insieme dei BBS FidoNet
relativi all’Italia centro-sud. Un nuovo colpo al cuore della
telematica amatoriale italiana. Questa volta gli ipotetici reati
vanno ben oltre la pirateria informatica: il dito dell’accusa è
puntato su una rete di pedofili, o almeno questo è quanto affermano
erroneamente quotidiani e telegiornali, dal momento che nel maggio
1997 in Italia non esiste ancora una legge specifica sulla
pedofilia. Più precisamente i reati contestati riguardano
l’"associazione per delinquere dedita al traffico di materiale
pornografico su reti telematiche e al favoreggiamento della
prostituzione". I tre sysop FidoNet vengono coinvolti loro malgrado
in una inchiesta che riguarda in totale diciotto persone. Alle 7:30
del 7 maggio il nucleo operativo della polizia delle
telecomunicazioni dà il via ai sequestri, secondo le disposizioni
del procuratore aggiunto Italo Ormanni.
Le
indagini Lo svolgimento delle indagini è raccontato da
Stefano Chiccarelli e Andrea Monti nel libro Spaghetti
hacker: "nell’ottobre del 1996 la solita ‘fonte confidenziale’
avverte gli inquirenti che su una BBS ro-mana (collegata anche a
internet) ‘girano’ immagini porno. Nel corso delle indagini la
‘fonte confidenziale’ è stata contattata molto frequentemente. (...)
Le posizioni delle persone coinvolte in questa indagine sono molto,
ma molto differenziate, ma nel calderone del clamore a tutti i
costi, tutto fa brodo. Non è vero che sia un unico giro. (...) In
almeno un caso – e non ci sono ragioni per ipotizzare differenze con
gli altri – le indicazioni contenute nel decreto di perquisizione
locale e personale delegano espressamente alla Polizia Telematica il
sequestro di quanto risulti attinente al reato e alle indagini. Ciò
significa, in altri termini, attribuire a chi doveva con-cretamente
operare una certa discrezionalità nei modi e nell’oggetto del
provvedimento che cercando file, si è concretizzato nel se-questro
dell’hardware. Contro questo provvedimento il ricorso al Tribunale
di Roma non ha avuto esito, poiché si afferma che un CD-ROM 8X, una
porta multiseriale e 34 mega di RAM sono cose necessarie
all’accertamento dei fatti. Ciò accade il 27 maggio 1997, e la Corte
di Cassazione non ha ancora preso una decisione sul
ricorso".
La stampa La stampa italiana si getta a
capofitto sulla notizia, pescando nel torbido senza nessun rispetto
per la dignità e la privacy di persone innocenti fino a prova
contraria. Un’orda di sciacalli si nasconde impunemente dietro il
proprio tesserino di giornalista per dare libero sfogo alla propria
fantasia, distruggendo, senza nessun rispetto per il segreto
istruttorio, il buon nome di tre persone oneste, tra cui un
pediatra, colpevole soltanto di avere l’hobby della tele-matica
sociale. La reputazione e professionalità di quest’uomo ven-gono
compromesse e colpite senza pietà con l’infamante sospetto della
pedofilia da un pugno di professionisti della menzogna, spes-so
autorizzati a parlare di telematica senza nessun titolo culturale o
esperienza professionale che giustifichi le loro competenze. Inizia
la gara della morbosità:
"Indagati i pedofili di Internet: diciotto maniaci telematici
scoperti dalla Polizia" Tiziana Paolocci Il Giornale,
18 maggio 1997
"Anche un pediatra tra i pedofili. Coinvolti
numerosi professionisti. Indagini a Roma e a L’Aquila. Pedofili su
Internet: 18 persone, tutti stimati professionisti, che diffondevano
materiale hard con bambini come protagonisti sono finiti nei guai
grazie alle indagini del nucleo di polizia informatica durate un
anno. Tra gli indagati un noto medico pediatra
aquilano". Maurizio Piccirilli Il Tempo, 18 maggio
1997
"Bambini torturati nella rete dei pedofili" Elsa
Vinci La Repubblica, 18 maggio 1997
"Su Internet ho
visto violentare bambini" Giuliano Gallo Corriere della
Sera, 18 maggio 1997
"Gli indagati, di varie parti di
Italia e in contatto tra loro via Internet, si scambiavano in rete
immagini porno in cui bambini erano vittime di violenze e percosse.
Individuate, a Roma e all’Aquila, 2 messaggerie che raccoglievano le
immagini e le offrivano ai propri utenti, se questi davano in cambio
analoghe immagini dai loro archivi privati".
Televideo
Rai pag. 184 (4/6) 17/5/97 notizia delle
14.59
"Maniaci Telematici" Alessandra
Flavetta Gazzetta del Mezzogiorno, 18 maggio
1997 Reazioni Tra i primi a intervenire, Ward
Dossche, coordinatore europeo di FidoNet, che indirizza una lettera
aperta di protesta all’ambasciata italiana di Bruxelles e alla
delegazione italiana della Commissione Europea. Mario Murè,
coordinatore italiano FidoNet spedisce a Repubblica una
lettera con cui risponde all’articolo di Elsa Vinci "Foto porno con
minori. Internet sott’inchiesta", datato 17 maggio: "Sia perché li
conosco personalmente da almeno un lustro, sia perché il loro
comportamento in rete è sempre stato all’insegna della massima
correttezza, sono più che convinto che i tre sysop FidoNet inquisiti
siano del tutto estranei all’infamante accusa di traffico di
materiale per pedofili. (...) Nel contempo mi auguro che Voi di
Repubblica, testata che sinceramente reputo autorevole e seria,
vogliate continuare nel solco di una tradizione che non Vi ha mai
fatto scivolare su toni scandalistici, in particolar modo quando, in
vicende come questa ancora tutte da chiarire, sono in gioco la
reputazione e la vita professionale delle persone". Gli
articoli pieni di falsità però non si interrompono. Viene tirata in
ballo la stessa rete FidoNet, dipinta come una rete più nascosta e
meno controllabile dell’internet, sulla quale i traffici illeciti
avrebbero campo libero. Mario Battacchi, presidente dell’AFI,
Associazione FidoNet Italia, decide di intervenire con una lettera
"ai direttori di testate giornalistiche": " (...) Io spero che
questa mia lettera Le sia servita per avere un quadro più chiaro di
ciò che siamo e ciò che facciamo, e che la sua testata non abbia in
futuro occasione di screditarci ingiustamente".
Una nuova
legge Sulla scia della disinformazione e delle azioni di
terrorismo psicologico dei media nostrani, in seguito alla caccia
alle streghe anti-pedofili avvenuta a maggio in Italia, viene
approvata una legge sui reati relativi alla pedofilia "telematica".
Il 5 luglio ’97, dalle pagine del Manifesto, Franco Carlini
commenta il testo della nuova disposizione legislativa: "Un
passaggio della legge anti-pedofili appena approvata dalla Camera fa
venire i brividi o almeno dubitare delle capacità linguistiche della
onorevole Anna Serafini, principale sostenitrice del provvedimento.
Dice il testo: ‘Chiunque distribuisce o divulga, anche per via
telematica, materiale pornografico o no-tizie finalizzate allo
sfruttamento sessuale dei minori degli anni 18 è punito con la
reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire cinque
milioni a lire cento milioni’. Se fosse stato scritto ‘ma-teriale
pornografico E notizie finalizzati allo sfruttamento sessuale dei
minori’ sarebbe stato chiaro che anche il materiale porno pu-nito
doveva riferirsi sempre ai minori. Così invece, con una ‘o’ in mezzo
ai due oggetti (materiale oppure notizie), si lascia aperta la
possibilità che normale materiale porno ricada sotto questa
fatti-specie. Sarà una svista, per carità, ma è di quelle che
rivelano l’anima profonda del legislatore e persino del portavoce
dei verdi Luigi Manconi, che non ha esitato a scendere in polemica
con Liet-ta Tornabuoni, praticamente unica voce pubblica a obiettare
che il consumo di video porno è fatto privato, non perseguibile
dalla leg-ge. Il succo è che mentre una Corte Suprema Americana a
maggioranza reazionaria annulla il ‘Computer Decency Act’, l’Italia
avanzata, quella che protesta contro la pena di morte in casa
altrui, ne vara una peggiore. Che mentre Clinton affida alle
famiglie e al-l’autoregolamentazione dei media la protezione dei
bambini (nel discorso del primo luglio), in Italia si fa una legge
nuova per punire reati già previsti, aggiungendovi l’attributo di
‘telematici’".
Silenzio All’infame ondata di
disinformazione morbosa e sensazionalistica, fanno seguito mesi di
silenzio. Nessuno dei giornalisti responsabili della "pubblica
gogna" a mezzo stampa dei tre sysop sembra accorgersi che l’8 agosto
è lo stesso procuratore Ormanni a sollecitare l’archiviazione
dell’istruttoria, con un decreto in cui si parla di "elementi
raccolti che non consentono di ritenere sussistenti gli estremi del
delitto 41.6 CP e 3 legge Merlin". In parole povere il materiale
raccolto non ha nulla a che vedere con le attività di
un’as-sociazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della
prostituzione minorile. Dopo una fitta campagna di diffamazione a
dan-no dei presunti "pedofili" la stampa italiana diventa
protagonista di un silenzio ancora più colpevole e vigliacco.
L’archiviazione del-l’inchiesta non fa più notizia. L’unica voce
"fuori dal coro" è quella di Silvia Mastrantonio, che sul Resto
del Carlino del 25 novembre ’97 rende giustizia ai tre sysop:
"(...) la gigantesca istruttoria che impegnava gli agenti della
Polizia postale dal Nord al Sud dell’ltalia si è tramutata in una
bolla di sapone. (...) Torture impunite o esagerazioni da scoop
giornalistico? Alternative non esistono. E se di sbaglio si è
trattato chi restituirà mai a quelle persone la loro rispettabilità
agli occhi del mondo?" Qualche giorno più tardi, il settimanale
Avvenimenti parla ancora della caccia ai pedofili nel numero
del 3 dicembre. Alla leggerezza dimostrata dalle testate
giornalistiche nel trattare un argomento così delicato, il
"settimanale dell’altritalia" aggiunge anche una palese ignoranza
degli sviluppi dell’indagine. A quattro mesi dall’archivia-zione del
procedimento a carico dei presunti "pedofili", Avvenimenti
non rinuncia a un articolo dai toni torbidi, in cui lo
sfortunato "professionista dell’Aquila" viene ancora una volta
descritto come membro di una "rete di pedofili", come se nulla fosse
accaduto, co-me se non fosse stato lo stesso titolare dell’inchiesta
a richiederne l’archiviazione. Ce n’è abbastanza per la querela:
"(...) Un nucleo speciale della polizia ha ricostruito la mappa di
una delle reti di pe-dofili collegate con l’Italia. Ne facevano
parte un ingegnere di Milano, un professionista di Roma, un altro
professionista dell’Aquila e altre persone definite dalla polizia di
‘alto livello sociale’. Per poter entrare nei siti protetti
bisognava mettersi in contatto con una rete di ‘commercializzazione’
abbonandosi a messaggerie che offrivano cataloghi e chiavi d’accesso
alle aree riservate. Una delle chiavi era ‘Pedo’. (...) L’accesso ai
siti Internet protetti ha fatto fiorire un lucroso commercio
clandestino di floppy disk e fotografie con immagini di violenze
sessuali contro i minori (...)"
Contrabbandieri di
musica 29 maggio 1997. La casa discografica Nuova Carisch SpA
- Warner Chappell Musica Italiana SpA, invia una lettera di diffida
a Dario Centofanti, gestore del server news.pantheon.it e membro del GCN (il Gruppo di
Coordinamento dei Newsgroup italiani). Nella lettera di diffida i
legali della Nuova Carisch - Warner Chappell accusano Centofanti di
alcuni reati di natura penale, tra cui la "(...) diffusione non
autorizzata di opere altrui, tutelate dal diritto d’autore ai sensi
dell’articolo 171 della legge n. 633 del 22.04.1941 (...)".
Centofanti finisce nel mirino della casa discografica per aver
ospitato sul proprio server un newsgroup usenet (it.arti. musica.spartiti) dedicato
allo scambio di testi e accordi relativi a brani musicali. In
particolare, alcuni messaggi presenti sul "news server" amministrato
da Centofanti riguarderebbero testi e spartiti di alcuni autori di
cui la Nuova Carisch SpA - Warner Chappell Musica Italiana SpA è
titolare dei diritti esclusivi di sfrut-tamento. Tra gli autori
vengono citati Zucchero, Vasco Rossi, Ligabue, The Cure, Green Day,
Guns’n’Roses, Michael Jackson, R.E.M., The Doors e molti altri. I
legali della casa discografica pretendono da Centofanti
l’oscuramento del newsgroup e la consegna di tutto il materiale
incriminato. Il 10 giugno Maurizio Codogno, a nome del GCN,
diffonde un secco comunicato di reazione:
===========================================================
(...)
ai sensi dell’art. 27 c. II della Costituzione nessuno puo’
rispondere penalmente per il fatto di terzi. Nemmeno e’
configurabile la sanzionabilita’ di un omesso controllo, in primo
luogo perche’ tale norma non esiste e quand’anche esistesse – oltre
a essere di dubbia costituzionalita’ – sarebbe inapplicabile perche’
tecnicamente nessun controllo preventivo e’ possibile sui contenuti
in questione e in secondo luogo perche’ costituirebbe un’ingerenza
priva di giustificazione nelle liberta’ degli altri utenti tutelate
dagli artt. 15 e 21 della Costituzione. Stabilire la
responsabi-lita’ automatica del gestore del sistema equivale
all’affermazione che il Ministro delle Poste e’ responsabile perche’
i mafiosi utilizzano le linee telefoniche della rete pubblica per
commettere reati.
(...)
Il Gruppo Coordinamento
NEWS-IT si augura pertanto una rapida definizione del principio per
cui gli amministratori di sistema news sono semplici veicolatori e
non possano essere ritenuti responsabili di quanto viene scritto
da-gli utenti del servizio; auspica inoltre che anche in stralcio di
una piu’ ampia legge sull’editoria elettronica venga stabilita al
piu’ presto l’applicabilita’ o meno al caso in questione della legge
159/93 in tema di riproduzione abusiva, che permette tra l’altro
esplicitamente l’utilizzazione di testi musicali per attivita’
didattica, di studio e di ricerca. Questo perche’ alcuni
amministratori di news hanno momentaneamente scelto di non
vei-colare i messaggi del gruppo di discussione it.arti.
musica.spartiti, il che nuoce gravemente alla struttura stessa di
scambio dei messaggi e quindi al sistema Usenet News nazionale, a
cui tanta parte della comunita’ Internet di lingua italiana anche
residente all’estero si
rivolge.
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Centofanti verrà tirato in ballo anche
un anno più tardi, per fare da bersaglio all’ira della Banca del
Salento: anche questa volta la presunta colpa dell’amministratore
del server pantheon.it riguarda
un messaggio immesso da una terza persona. Il 17 maggio 1998 Sandro
Restaino immette nel newsgroup it.economia.analisi-tecn un messaggio dal titolo
"Fuggite dalla Banca del Salento", nel quale l’istituto di credito
ravvisa il reato di diffamazione. Di diverso parere è il giudice
istruttore, Vincenzo Mazzacane, che nella sentenza emessa il 4
luglio rigetta il ricorso affermando che "il Restaino non è andato
al di là di quanto necessario per l’affermazione delle proprie
opinioni. Si tratta nella specie di espressione di dissenso
motivato, in quanto sia pure con toni aspri e polemici Restaino basa
la manifestazione del proprio pensiero su fatti e dati che alla luce
del testo del contratto allegato agli atti possono essere
considerati veri o quanto meno putativamente tali. Si ritiene
pertanto che nel caso che ci occupa Restaino Sergio abbia
legittimamente esercitato con il messaggio de quo il diritto di
critica riconosciuto dalla carta costituzionale all’art. 21 e che
pertanto la ricorrente Ban-ca del Salento S.p.a. non abbia subito
alcuna lesione al proprio onore, dignità e reputazione di istituto
di credito".
1998 - Diffamatori e
satanisti
Solidarietà o diffamazione? 27 giugno
1998. Gli ufficiali di Polizia Postale del Compartimento di Bologna,
su ordine della Procura di Vicenza, pongono sotto se-questro il
computer dell’associazione per la libertà telematica Isole nella
Rete, interrompendo il servizio internet svolto dalla stessa,
utilizzato ogni giorno da migliaia di persone in Italia e
all’estero. Il reato ipotizzato è la "diffamazione continuata" ai
danni dell’agenzia di viaggi Turban Italia. Con il sequestro del
server www.ecn.org vengono
oscurati gli spazi web di oltre un centinaio di associazioni, centri
sociali, radio autogestite tra le quali la Lila, ASIcuba, il
Telefono Viola, ADL (Associazione di Difesa dei Lavoratori), Ya
basta, USI (Unione Sindacale Italiana), CNT spagnola, il
Coordinamento nazione delle RSU; centri sociali (circa 40 centri
sociali in tutta Italia); emittenti radiofoni-che (Radio Onda d’Urto
di Brescia e Milano, Radio Black Out di Torino, Radio Sherwood di
Padova); riviste online (.Zip e Necron di Torino, BandieraRossa di
Milano, Freedom Press di Londra), gruppi musicali (99 posse,
Sunscape, Electra, Petra Mescal) e molti altri ancora. Oltre alla
chiusura delle pagine web, il provvedimento di sequestro interrompe
lo scambio di posta di numerose mailing list, tra le quali la lista
in solidarietà con il Chiapas, la lista CYBER-RIGHTS di informazione
e discussione sui nuovi diritti telematici, quella delle comunità
gay italiane. Vengono disattivate oltre trecento caselle postali di
tutti i centri sociali, le radio libere, le associazioni, i gruppi e
le persone che aderiscono al progetto Isole nella Rete. Una enorme
mole di dati sensibili, messaggi privati di posta elettronica,
informazioni personali viene sottratta ai legittimi proprietari in
seguito al provvedimento di sequestro. Il sequestro viene
disposto in seguito alla denuncia dell’agenzia di viaggi Turban
Italia Srl, con sede a Milano, ritenutasi vilipesa da un messaggio
inserito da un collettivo di Vicenza su una delle mailing list di
Isole nella Rete. Il messaggio in questione era stato aggiunto in
maniera automatica alle pagine web dell’associazione telematica,
sulle quali è possibile consultare gli archivi storici dei
contributi relativi alle liste di discussione. Ecco il testo del
messaggio incriminato (fedele trascrizione di un volantino stampato
su carta e normalmente distribuito in pubblico):
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From:
Collettivo Spartakus <sparta@goldnet.it> Subject:
solidarieta’ al popolo kurdo Date: Fri, 16 Jan 1998 01:47:06
+0100
SOLIDARIETA’ AL POPOLO KURDO BOICOTTIAMO IL TURISMO
IN TURCHIA
Ogni lira data al regime turco con il turismo e’
una pallottola in piu’ contro i partigiani, le donne, i bambini
kurdi; questo bisogna dirlo forte e chiaro per non rendersi complici
del tentativo di genocidio operato dallo stato turco contro il
popolo kurdo.
In coincidenza con i periodi estivi e natalizi
su alcuni quotidiani e settimanali e’ riapparsa la pubblicita’ a
piena pagina della Turban Italia che invita a visitare "la Turchia
piu’ bella". Eppure dovrebbe essere ormai di dominio pubblico quante
e quali siano le ripetute violazioni dei Diritti Umani operate dal
regime turco, soprattutto contro il popolo kurdo: torture nelle
caserme e nei commissariati, detenzioni illegali, sparizioni di
oppositori compiute da veri e propri squadroni della morte
parastatali... per non parlare dell’occupazione da parte
dell’esercito turco del Kurdistan "iracheno" con bombardamenti di
villaggi e campi profughi.
L’invito della Turban Italia ai
tour e soggiorni al mare nella "Turchia piu’ bella" e’ decisamente
un pugno nello stomaco se confrontato con le notizie che quasi ogni
settimana giungono dalle zone martoriate del Kurdistan. Nel
Kurdistan "turco" 25 milioni di persone vivono sotto il giogo di
500.000 soldati e per mantenere la sua "guerra sporca" contro questo
popolo lo stato turco fa affidamento soprattutto sulla valuta
pregiata del turismo che frutta ogni anno oltre dieci miliardi di
dollari.
Non esiste citta’ turca nelle cui prigioni non si
torturi, nei cui dintorni non sorgano bidonville di sfollati dai
3500 villaggi kurdi distrutti. Le proteste dei prigionieri vengono
regolarmente represse a colpi di spranga e i familiari riescono con
difficolta’ a farsi restituire i cadaveri. Intanto nei campi
profughi assediati dall’esercito e da miliziani filoturchi i bambini
muoiono di stenti. Anche recentemente l’utilizzo del napalm da parte
dell’aviazione turca (forse gli stessi piloti che vengono addestrati
nelle basi NATO del Veneto) ha provocato vittime soprattutto tra i
civili.
In questo deserto di repressione e sofferenza i
paradisi turistici decantati da Turban Italia sono soltanto oasi
blindate. Tra l’altro e’ risaputo che agli affari della Turban e’
direttamente interessata l’ex premier Ciller, ispiratrice degli
squadroni della morte che hanno provocato la morte di centinaia di
oppositori, kurdi e turchi. Invitiamo quindi a boicottare le agenzie
di viaggi che offrono i tour in Turchia e anche i giornali che li
pubbli-cizzano, come gesto di solidarieta’ verso un popolo fiero e
perseguitato.
Lega per i Diritti e la Liberazione dei Popoli
(sez. di Vicenza)
Collettivo Spartakus
Per adesioni:
Tel/fax/segr.:0444/301818 e-mail:sparta@goldnet.it f.i.p Via
Quadri, 75 Vicenza, 12 gennaio
1998
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I responsabili di Isole nella Rete
lanciano un durissimo comunicato, nel quale si denuncia che:
"Il sequestro, disposto dal Procuratore della Repubblica presso
la Pretura di Vicenza, dott. Paolo Pecori, è un atto estremamente
grave, poiché non si è limitato alla rimozione del messaggio
incriminato, ma ha chiuso l’intero servizio offerto da Isole nella
Rete, un atto che non ha precedenti nel nostro Paese. Ci tocca
constatare di nuovo l’incongruenza della legislazione vigente con i
nuovi strumenti della comunicazione digitale, l’incompetenza degli
organi giudiziari e la sostanziale arretratezza nella comprensione
di cosa sia il fenomeno Internet, la comunicazione orizzontale, i
nuovi diritti dell’era digitale. Ma ci tocca anche lanciare una
pesante accusa nei confronti di una magistratura già pronta a
rendersi duttile strumento dei nuovi potentati della comunicazione,
colpendo con tanta durezza ogni tentativo significativo di dar voce
a istanze sociali di base che rivendicano il diritto a esistere e a
dire la loro senza dover passare sotto le forche caudine e censorie
dei media istituzionali". Inizia un fittissimo tam-tam
telematico: il messaggio "sequestrato" si moltiplica all’infinito,
diversi amministratori di sistema mettono a disposizione i loro
server, per replicare le pagine web oscurate su siti mirror e
riaprire le mailing list bloccate, l’eco del sequestro raggiunge
tutti i maggiori organi di stampa. Contro il provvedimento di
sequestro interviene anche la Federazione nazionale della stampa,
che definisce il sequestro "un fatto grave e un precedente
pericoloso" e chiede che il Ministro di Grazia e Giustizia
"intervenga repentinamente onde consentire la massima chiarezza
sull’episodio e il ripristino della piena legalità". Scatta
ancora una volta il meccanismo delle interrogazioni parlamentari: la
prima viene presentata il primo luglio da Marco Taradash, che chiede
al Ministro delle Comunicazioni "se non ritenga opportuno chiarire
definitivamente i limiti della responsabilità dei provider per i
contenuti di ciò che essi ospitano sul proprio server internet,
considerando che essi non hanno tecnicamente la possibilità di
vagliarne gli elementi eventualmente riconducibili a fattispecie
penalmente rilevanti". Nello stesso giorno un’altra interrogazione
viene presentata al Ministro delle Poste e al Ministro di Grazia e
Giustizia da Ramon Mantovani e Maria Celeste Nardini, ai quali si
aggiunge il 3 luglio Giovanna Melandri, che con una nuova
interrogazione chiede al Ministro degli Interni e al Ministro di
Grazia e Giustizia "cosa intendono fare per garantire che, in
assenza di regole giuridiche e salvo il rispetto delle norme penali,
al transito e alla veicolazione di contenuti nella rete sia
garantito il massimo rispetto sotto il profilo della libertà di
espressione". Contestualmente alla presentazione delle prime
interrogazioni, il primo luglio un rappresentante dell’Associazione
Isole nella Rete presenta una istanza di dissequestro del server
presso la Procura di Vicenza. Il Procuratore Paolo Pecori comunica
che il server, già dissequestrato il giorno precedente, verrà
riportato l’indomani presso il provider dalla stessa Polizia
Postale. I responsa-bili di Isole nella Rete comunicano che il
server riprenderà le sue attività solo dopo aver effettuato dei
controlli "allo scopo di verificare intromissioni illecite e/o
manomissioni". Sono numerosi infatti i dati personali sensibili
contenuti nel computer sequestrato, relativi a soggetti politici "a
rischio", legati all’area dell’autogestione. Le ragioni del
dissequestro? Un ritardo di 15 minuti. Dopo essere scivolato su una
"buccia di banana" più insidiosa del previsto, che ha scatenato la
reazione simultanea e coordinata di tutti gli attivisti per la
libertà di espressione in rete, il pubblico ministero si aggrappa a
un errore procedurale per fare marcia indietro: il verbale di
polizia relativo all’operazione è stato consegnato al magistrato 15
minuti più tardi delle previste 48 ore entro cui deve avvenire la
convalida del sequestro.
Pagine sataniche 9 luglio
1998. Una nuova azione di censura provoca la reazione di tutte le
comunità virtuali italiane: a Roma l’assessore alle reti civi-che
Mariella Gramaglia chiude d’autorità e senza preavviso tutti gli
spazi internet delle associazioni, assegnati all’interno dei
progetti sperimentali. Il motivo della chiusura è una denuncia
(relativa ai presunti contenuti satanisti di alcune pagine ospitate
dal comune di Roma) presentata da Don Fortunato Di Noto, il parroco
siciliano che ad Avola (Siracusa) ha fondato l’associazione Telefono
Arcobaleno, impegnata nella lotta alla pedofilia. Secondo quanto
riporta l’edizione romana del Corriere della Sera del 9/7/98,
nell’inserto "Corriere Roma", il testo incriminato fa parte di una
tesi di laurea della Facoltà di Lettere di Roma, dal titolo
Femminile nella fantascienza: modelli di scrittura,
all’interno della quale era citato il bra-no in questione, ripreso
dalla rivista di cultura underground e tec-nologica Torazine,
distribuita in molte librerie italiane. La denuncia del parroco
siciliano penalizza tutte le associazioni ospitate dal comune: WWF,
LIPU, Libera, Croce Rossa, Cgil università, Associazione per la
Pace, Telefono Azzurro, Associazione italiana Carabinieri,
Associazione italiana diritti dei bambini, Coro universitario di
Roma e il Cipax, Centro Interconfessionale per la Pace, club
del-l’associazione PeaceLink per la zona di Roma. Da un giorno
all’altro tutte le pagine di queste e molte altre associazioni
vengono oscu-rate senza nessuna spiegazione o preavviso da parte dei
responsabili della rete civica romana. Le pagine "sataniche" sono
quelle del Foro Romano Digitale, un progetto telematico esterno al
lavoro informativo delle associazioni, aperto a contributi di vario
genere. I partecipanti al Foro Digitale lanciano un secco
comunicato: "Chiediamo l’immediata riaper-tura di tutti i servizi
della rete civica romana e un incontro tra le associazioni e i
cittadini che partecipano al progetto della rete civica romana con
l’assessore Gramaglia. Chiediamo inoltre una serena, ma seria
valutazione delle competenze necessarie a ricoprire l’incarico
attualmente svolto dall’Assessore Gramaglia". La Gramaglia si
difende il 10 luglio, e lo fa dalle pagine dell’edizione di Roma del
Corriere della Sera: "Qualcuno purtroppo ha fatto un uso
improprio delle opportunità offerte dal Comune abusando della nostra
fiducia. Per questo siamo costretti almeno temporaneamente a
revocare la concessione degli spazi. Dobbiamo sapere a chi diamo
spazio, anche se i gruppi sono quasi tutti corretti. Dalla prossima
settimana rimanderemo in rete chi ci darà garanzie di affidabilità,
episodi del genere non devono più accadere. Siamo andati ben oltre i
limiti della libertà di espressione". Si contattano le associazioni:
con un’e-mail di poche righe l’assessore alle reti civiche informa
tutti i titolari degli spazi che prima di riprendere le trasmissioni
"sarà richiesta maggiore severità nell’uso delle password,
l’individuazione dei responsabili dei gruppi e dei campi di
intervento delle associazioni". La severità nell’uso delle
password è importante, ma ai tecnici e ai responsabili della rete
civica l’assessore Gramaglia avrebbe dovuto chiedere anche maggiore
buon senso nell’assegnazione delle password, visto che a tutte le
associazioni presenti sul comune di Roma è stata data per diversi
mesi la stessa parola chiave, uguale per tutti:
SPERIMEN. Nonostante le tesi sostenute dalla Gramaglia,
l’interruzione dei servizi informativi offerti gratuitamente da
decine di associazioni di volontariato viene aspramente criticata,
in rete e fuori: il gruppo consiliare di Rifondazione Comunista
presenta un’interrogazione al Sindaco nella quale si afferma che
l’azione repressiva ha avuto l’effetto di interrompere un servizio
pubblico e "l’interruzione del rapporto con le associazioni
smantella la Rete Civica e mortifica quel cammino di democrazia
elettronica che si era intrapreso". L’episodio lascia con l’amaro
in bocca: una interruzione così brusca e inspiegabile di un servizio
pubblico apre molti interrogativi. Se venisse scoperta una truffa ai
danni dell’INPS, immagino che si avrebbe il buon senso di non
bloccare le pensioni di tutti. Invece una pagina dai contenuti
discutibili ha avuto l’effetto di bloccare tutti i servizi
informativi gratuiti offerti dalle associazioni di volonta-riato
romane. Per il progetto della rete civica di Roma sono state
spese svariate decine di milioni, che sono serviti alla sola
realizzazione tecnica del nodo internet che ospita le pagine del
Comune di Roma. Ma non basta avere dei computer collegati
all’internet per dire di aver realizzato una rete civica: se non si
riempiono di contenuti, i computer rimangono solo scatoloni vuoti,
contenitori privi di qualsiasi utilità per la cittadinanza. Non è
esagerato quindi affermare che la rete civica di Roma non è figlia
degli amministratori comunali, ma delle associazioni che hanno
riempito i computer vuoti con i loro contenuti, la loro esperienza,
le loro risorse, i loro documenti, il loro lavoro gratuito e
volontario di costruzione delle pagine web che per tutta risposta
sono state oscurate. Fino alla denuncia di Don Fortunato le
associazioni e le loro pagine web erano un bellissimo fiore
all’occhiello da sbandierare per tessere le lodi della rete civica
di Roma, e soprattutto per giustificare, almeno in parte, le ingenti
spese dovute alla manutenzione di un nodo internet che, tra
parentesi, non è l’unica né la migliore soluzione tecnica per
mettere in piedi una rete civica. È bastato un granellino di
sabbia per inceppare tutto il meccanismo e trasformare le
associazioni in ospiti indesiderati. Il gesto dell’As-sessore
Gramaglia ha il sapore di antiche punizioni in cui per colpa di un
trasgressore pagavano dieci innocenti. Un modo per dire "qui comando
io". È vero invece il contrario: la rete civica è dei cittadini e
non degli amministratori della rete. Già prima dell’oscuramento era
molto grave che gli spazi della rete civica fossero aperti solo alle
associazioni e non ai singoli cittadini, che pagano con le loro
tasse comunali un servizio passivo, in cui possono solo ricevere
informazioni senza poterle produrre. Una telematica a metà, dove la
bidirezio-nalità e le forme di informazione partecipativa che
caratterizzano i nuovi media digitali sono annullate in nome di un
maggiore controllo e sicurezza del sistema. L’invito da fare ai
responsabili della telematica comunale romana è quello di rendere la
loro rete sempre più "civica", espressione della città e dei
cittadini, e non della pubblica amministrazione, trattando le
associazioni e le singole persone come soggetti indispensabili per
la vita e le attività della rete, che sarebbe assurdo oscurare così
come sarebbe assurdo bloccare le attività di chi assicura il
funzionamento tecnico dei computer. È chiaro a tutti che l’aspetto
tecnico è fondamentale. Quello che sfugge è che sono altrettanto
fondamentali gli aspetti informativi e partecipativi, se si vuole
promuovere una rete civica. Se invece l’obiettivo è solo quello di
una vetrina del comune di Roma, nella quale le associazioni sono
usate strumentalmente come contorno per abbellire le pagine e i
cittadini non hanno voce in capitolo, allora scusateci tanto.
Credevamo che si parlasse di qualcos'altro.
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